Devo dirla proprio tutta: la mostra Luigi Ontani – “Er” “SIMULACRUM” “amò” al GAMeC di Bergamo è davvero qualcosa di grandioso. Sarò anche di parte, in quanto Ontani è da sempre uno dei miei artisti preferiti, ma devo dire che non mi aspettavo niente di simile. Giacinto Di Pietrantonio ha fatto un ottimo lavoro. Così tante fotografie del maestro, di quelle dimensioni e di quella importanza storica soprattutto, mi hanno reso per quelle due ore passate all’interno del museo come un bambino lasciato libero di scorrazzare all’interno di un parco giochi.
D’altronde sentirsi un bambino è normale davanti alle opere di un’artista che un po’ bambino in fondo lo è e lo è sempre stato. I personaggi onirici che popolano i suoi acquerelli, il modo a volte anche autoironico in cui utilizza il suo corpo nei Tableau Vivant, i titoli delle sue opere, opere d’arte essi stessi, un misto di piccole poesie e giochi di parole per bambini, la fertile fantasia dalla quale nascono i suoi lavori, sono tutti modi di esprimere una personalità che rimane se stessa senza mai omologarsi e che tenta di stare al di fuori dalle cerchia ristretta di quelle regole comuni che caratterizzano la nostra società. “Ogni bambino è un artista, il problema è poi come rimanere un artista quando si cresce”, affermava Picasso. Luigi Ontani è la risposta. L’elemento ludico è fondamentale nella sua opera. Questo non vuol dire che la sua arte sia infantile, semplice, poco impegnata. Tutt’altro! Nei suoi lavori ci sono citazioni alla storia dell’arte, alla nostra cultura e a quella orientale, a volte talmente colte che sono per i più incomprensibili se non accuratamente spiegate.
Inspiegabilmente vuota
Sarà questo il motivo per cui a girare per le sale del GAMeC ero in pratica da solo? È possibile che la mostra di uno dei nostri artisti più rappresentativi sia così snobbata, non dico dal grande pubblico poco interessato, ma almeno da chi l’arte la mastica un pochino. Sarei pronto a scommettere che, a una cinquantina di kilometri di distanza, fuori da Palazzo Reale di Milano, si sia invece formata la consueta coda da weekend per entrare alla retrospettiva su Van Gogh. Eppure Luigi Ontani è ormai un artista molto apprezzato, è vero, forse più all’estero che in Italia dove siamo ancora restii a certe modalità di linguaggio che, nonostante non si possano più chiamare contemporanee, visto che le opere sono datate anni ’60 e ’70, nel nostro paese non sono ancora state assimilate e digerite.
Qualcosa comunque si sta muovendo: settimana scorsa ad Arte Padova le opere di Luigi Ontani erano protagoniste in diversi stand. Sarà questo uno dei casi in cui il mercato arriverà prima del pubblico? Può darsi. Un acquerello per il quale solo tre anni fa chiedevano intorno ai 12.000€, me lo sono sentito offrire a 18.000€. Era anche ora e oserei dire che siamo solo all’inizio. Un artista che ha già avuto una retrospettiva al PS1/MoMa di New York, al Castello di Rivoli e alla Kunsthalle di Berna, per citarne solo qualcuna, i cui lavori sono stati fonte di ispirazione di importanti giovani venuti dopo di lui come ad esempio Cindy Sherman che più volte l’ha citato come suo maestro di riferimento (artista che tra l’altro ha raggiunto già quotazioni milionarie), può costare ancora così poco?
Se fosse nato in America o in Inghilterra, sicuramente oggi sentiremo parlare di Luigi Ontani in tutt’altra dimensione e probabilmente la sua mostra sarebbe affollata. Gli anglosassoni hanno una capacità ammirevole di riempire i musei e attirare pubblico. Il problema quindi non è tanto nella figura dell’artista, ma sarebbe forse da cercare all’interno del sistema arte Italia. Cosa sono i nostri musei? Dei semplici contenitori chiusi nel quale conservare oggetti vecchi e stantii. Hanno qualche attrattiva per il pubblico? Non direi proprio. I musei inglesi offrono al loro pubblico delle vere e proprie esperienze che iniziano ancor prima di staccare il biglietto: si possono passare intere giornate al loro interno. A parte poche eccezioni come il Mart di Rovereto, i nostri musei assomigliano ancora più a degli archivi della memoria che a luoghi di cultura vera e propria. Non che essi non debbano essere anche questo, ma il mondo è cambiato e anche il modo di fruire la cultura è cambiato. Se non ci si accorge di questo anche il baluardo di difensori del ricordo prima o poi cadrà.
Tornando alla mostra di Luigi Ontani, come mai questa poca affluenza? Si può pensare che Bergamo non sia Milano? Ma anche Rovereto non è Venezia. Il GAMeC è un’istituzione che si sta muovendo in maniera superba nel suo intento di seguire una politica di promozione dell’arte moderna e contemporanea. Oltre alle ottime esposizioni temporanee, possiede un’eccellente collezione permanente con capolavori che mai mi sarei aspettato di trovare. Dal punto di vista espositivo quindi niente da dire. Allora cos’è che manca? Può darsi che il mio sia un giudizio un affrettato visto che è la prima volta che visito il GAMeC e potrei anche aver scelto un giorno particolare in cui l’affluenza è stata povera. Oppure da un altro lato si può pensare che forse quello che manca è un’efficiente e strategica politica di marketing culturale. Con questo potrei aprire un dibattito fra chi pensa che gli strumenti del marketing possano distruggere l’arte e chi dice che al contrario possano essere di grande aiuto a questo mondo. Lascio aperte le riflessioni per un futuro post. Intanto invito tutti a fare un giro a Bergamo e visitare la mostra Luigi Ontani – “Er” “SIMULACRUM” “amò”.